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Essere medici oggi tra crisi di vocazione e perdita di identità.

Molti anni fa lessi un libro di Noah Gordon; ne ricordo il titolo: “Medicus”.

Raccontava la storia di un giovane orfano inglese che per caso vide, in una piazza di Londra, un cerusico intento ad esercitare la sua attività. Il ragazzo rimase affascinato dalla sua abilità nel curare le più comuni malattie e nel rassicurare le persone malate.

Quell’incontro gli cambiò la vita: desiderò con tutto sé stesso di diventare un guaritore.

Iniziò quindi, un lungo e avventuroso viaggio partendo dall’Inghilterra: dapprima con il cerusico; quindi da solo attraverso il vecchio continente fino a raggiungere la lontana Persia, dove aveva sentito che viveva un medico capace di curare il panno oculare, cioè quella malattia degenerativa del cristallino che noi oggi chiamiamo cataratta. Qui, finalmente, incontrò il maestro che cercava: Ibn Sinã (detto Avicenna 980-1037) Medico, filosofo, scienziato e suo futuro mentore.

Perché rammento questa storia? Forse perché fino a non molti anni fa la storia di ciascun medico, poteva assomigliare a quella di questo orfano: un lungo, faticoso viaggio attraverso la scienza, la filosofia, l’etica per imparare a curare e guarire le persone da malattie e paure; per conoscere e scoprire cose nuove; per soddisfare la propria curiosità attraverso la conoscenza e la sperimentazione.

Un viaggio alla ricerca del proprio maestro e mentore dal quale imparare e al quale spesso legare la propria vita, le proprie competenze e la propria carriera professionale

Oggi non è più così. La società è cambiata e i medici con essa.

Oggi, non esistono più né “scuole” né Maestri né Mentori. Anzi, se un tempo i nostri nonni si levavano il cappello in senso di rispetto davanti a medici, professori, avvocati perché “loro hanno studiato” e meritano rispetto, oggi molti di noi diffidano e dubitano di questi professionisti (e quindi dei loro pareri) perdendosi in mille altre inutili ricerche e consulenze . Ma a che cosa è dovuto questo cambiamento di prospettiva?

Probabilmente ad una  semplice considerazione: la visibilità sui media (meritata o costruita) è diventata indice di autorevolezza e successo e ha prevalso sulla conoscenza e sulla competenza.

La cultura che faticosamente abbiamo cercato ed imparato sui banconi dell’università, in anni di studio sui libri e dopo numerosi esami, sfide, umiliazioni e sacrifici (anche economici) da sola non fa più la differenza. O almeno così sembra.

Oggi è un bene a disposizione di tutti, sulla rete: basta cliccare una parola chiave e tutto è a disposizione di tutti. I maestri non servono più .

Ciò che serve è apparire in un modo credibile ed autorevole; magari dando spessore alle proprie istanze attraverso l’uso di algoritmi e modelli matematici, corretti e logici al punto giusto da dimostrare che ciò che viene proposto è vero, rivoluzionario e meritevole di investimenti.

Un esempio di quanto affermato è stato nel recente passato la gestione delle informazioni, dei servizi e della ricerca clinica nel periodo della pandemia SARS-COV2.

Ma se il medico ha perso la sua funzione di governo della salute e di applicazione della conoscenza, oggi, a che cosa serve?

La risposta è semplice: ad erogare un servizio su richiesta.

Oggi la società e la sua governance ci chiedono di diventare dei distributori automatici di salute, “H-24”; ciascuno collegato ad un pulsante a seconda della propria specialità. Ciascuno in grado di erogare il prodotto selezionato nello stesso modo, negli stessi tempi e con il medesimo risultato: in accordo con la sbandierata logica del “uno vale uno”!

Il medico, quindi, spogliato del suo ruolo e privato della sua autorevolezza è ormai diventato un semplice impiegato, un operatore, sempre più ingabbiato nelle reti della Pubblica Amministrazione dove le priorità sono la trasparenza, la burocrazia e l’assenza di responsabilità…sino a un certo punto, però: perché al contrario degli altri impiegati, quando “la pratica non va’ a buon fine” Lui rimane il capro espiatorio, l’unico e solo responsabile dell’ insuccesso.

L’arte medica è stata, quindi, ridotta ad un mero atto esecutivo e il medico nel tempo è stato progressivamente trasformato da professionista ad operatore: ma se è vero che ad una azione corrisponde una reazione, quali sono state le conseguenze di questo processo?

Potremmo riassumerle così: crollo motivazionale e di interesse dei giovani per questa bellissima attività, con una conseguente carenza generalizzata di professionisti in molte aree essenziali dell’assistenza sanitaria (medicina generale, medicina e chirurgia d’urgena, anatomia patologica, chirurgia generale etc etc)..

La perdita del prestigio professionale, del proprio potere contrattuale e salariale, delle prospettive di carriera, e, in fin dei conti, della propria autonomia clinica e decisionale all’interno degli ospedali, dove spesso le direzioni (politiche) condizionano i percorsi di cura (medici) senza coinvolgere né interpellare i rispettivi professionisti interessati, rappresenta un vulnus sostanziale che orienta la scelta delle nuove generazioni verso attività più accreditate e remunerate.

Se vogliamo quindi risolvere l’attuale crisi sanitaria sarà dunque necessario resettare l’attuale sistema di gestione sanitaria politico-clientelare e ridare lustro a questa nostra bellissima professione, riportando la gestione delle risorse e dell’organizzazione in mano ai professionisti

Erogando capitali e risorse in base a progetti ed obiettivi. Adeguando le retribuzioni alla qualifica del professionista e ai risultati da lui conseguiti. Riaccendendo la passione e l’interesse per questo lavoro nelle nuove generazioni, perché è dal loro entusiasmo che arriveranno i cambiamenti.

Dott. Raffaele Romito


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